Al secondo piano del Museo di Capodimonte, nella sezione degli appartamenti storici, si trova una piccola stanzetta che incuriosisce tutti per la sua particolarità e per la ricchezza delle sue decorazioni. Si tratta del famoso salottino di porcellana, un ambiente interamente rivestito di porcellana bianca, decorato da più di 3000 pezzi che si ispirano al gusto della moda cinese, tanto in voga nel XVIII secolo. Fu realizzato nel 1757 per rivestire un’ala dell’appartamento privato di Maria Amalia di Sassonia, regina di Napoli e consorte del re Carlo III di Borbone.
Concepito originariamente per il Palazzo Reale di Portici, venne in seguito smontato e trasferito nell’attuale museo dopo l’Unità d’ Italia. E’ animato da festoni, scene di genere, personaggi ed animali esotici. A rendere subito interessante tale ambiente fu l’introduzione – per la prima volta – della porcellana quale pressoché unico materiale di rivestimento delle pareti, rendendolo unico nel suo genere, in sostituzione dei consueti stucchi o dei parati. Ad arricchire ulteriormente l’ambiente è la presenza di un lampadario a dodici bracci che rappresenta un giovane cinese intento a stuzzicare un drago.
Il salottino rappresentò in pieno l’abilità e la perizia tecnica impiegata da coloro che operavano presso la Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte, fondata da Carlo di Borbone nel 1740. L’idea del sovrano era quella di dar vita ad oggetti raffinati e preziosi, che fossero alla pari di quelli prodotti dalla fabbrica tedesca di Meissen, voluta anni prima dal nonno della regina Maria Amalia e considerata una delle più prestigiose d’Europa.
Ben presto, la lavorazione della porcellana a Napoli ebbe modo addirittura di superare quella della Sassonia. Fu grazie all’abilità e alla capacità dei suoi artisti (il pittore Giovanni Caselli e il modellatore – scultore Giuseppe Gricci) che la Fabbrica riuscì a primeggiare su tutte. Lo si deve alla particolare delicatezza, morbidezza e al colore traslucido dei pezzi. Essi sono composti da un impasto di argille tenere che, una volta cotte, danno vita al “biscuit” di ceramica lucido e tenero, pronto per essere decorato. La tenerezza dell’impasto ottenuto rende possibile la lavorazione delle miniature, che vengono lavorate a punta di pennello.
La fabbrica fu attiva a Napoli fino al 1759 quando Re Carlo, richiamato in Spagna per occupare il trono, porta tutte le opere con sé. Venne in seguito riattivata dal figlio Ferdinando I con il nome di Real Fabbrica Ferdinandea, in attività fino al 1806, anno dell’occupazione francese nel Regno di Napoli.