La Cappella Sansevero è ritenuta uno dei luoghi più affascinanti ed enigmatici della città di Napoli. E’ situata nel cuore del centro storico di Napoli. Da sempre circondata da un alone di mistero, secondo alcune fonti, venne fondata sui resti di un tempio romano dedicato alla dea Iside. Venne eretta nel Rinascimento dal nobile Paolo di Sangro, come monumento destinato a ospitare le sepolture degli antenati della famiglia. Nel 1740 il suo erede Raimondo di Sangro, quarto principe di Sansevero, decise di rinnovarla completamente.
Raimondo è, probabilmente, considerato il personaggio più ambiguo ed enigmatico della storia di Napoli. Alchimista, inventore, esoterista e membro della massoneria, si diceva trascorresse tutte le notte nel suo laboratorio per ideare le sue bizzarre invenzioni. Studioso di aramaico, greco, latino e sanscrito, fu più volte ammonito e scomunicato dalla Chiesa. Creò alcuni strani oggetti, come la Lampada Perpetua, composta da fosfato di calcio e fosforo,capace di bruciare più a lungo di qualsiasi lume; una carrozza anfibia (che poteva andare per terra e per mare) e nuovi tipi di colori e vernici di lunghissima durata.
L’idea di Raimondo per la cappella era quella di farne un tempio maestoso, degno della grandezza del suo casato. Ideò personalmente l’iconografia delle sculture e si circondò di valentissimi artisti, che crearono opere di inestimabile fattura.
Il Cristo Velato
Tra queste, il formidabile Cristo Velato, che domina la scena al centro della cappella. Realizzato dallo scultore Giuseppe Sanmartino, è considerato uno dei più grandi capolavori della scultura di tutti i tempi. Un’opera disarmante, che lascia attoniti per il suo realismo e l’abilità che ebbe l’artista nel formare il velo di marmo sottilissimo. Esso, infatti, si adagia ineccepibilmente sul corpo esamine del Cristo morente.
Il velo sembra così reale da aver scaturito una leggenda che attribuisce al principe Raimondo la creazione dello stesso attraverso un processo alchemico di marmorizzazione. Un effetto così incredibile che lo stesso Antonio Canova ammise di aver voluto sacrificare dieci anni della propria vita per poter realizzare un capolavoro tale.