Il Chiostro maiolicato di Santa Chiara costituisce uno dei monumenti più singolari e articolati della città, al punto tale da farne uno dei simboli di Napoli. L’espressione più singolare dell’arte barocca che si manifesta nella particolarissima decorazione in maiolica che caratterizza lo scenario di questo luogo.
Costruito tra il 1310 e il 1328 dai sovrani Roberto d’Angiò e Sancia di Maiorca, il chiostro delle clarisse divenne parte della cittadella monastica a cui era annessa anche la famosa Basilica e il monastero dei Frati Minori.
La sua struttura venne modificata totalmente nel XVIII secolo, al tempo della badessa Ippolita Carmignano, che affidò la direzione dei lavori al poliedrico Domenico Antonio Vaccaro, artista capace di destreggiarsi nell’architettura, nella pittura e nella scultura.
L’architetto ebbe l’incarico di riprogettare lo spazio esterno del monastero che conservava ancora l’antico impianto medievale. Fu, così, progettato un grande porticato con la creazione di 72 pilastri di varia grandezza e di forma ottagonale sormontati da archi, mentre il giardino centrale è attraversato da due viali incrociati, completati da 64 pilastri, sui quali sono decorati tralci di vite, agrumi e vari frutti che si confondono visivamente con i frutteti del giardino, creando un’illusione squisitamente barocca tra mondo reale e mondo virtuale. I viali che dividono il giardino sono fiancheggiati da sedili e colonne rivestiti da maioliche.
La tradizione dell’arte maiolica a Napoli risale già al Medioevo, ma è nel Settecento che raggiunge livelli di qualità altissimi. E’ interessante notare come il termine maiolica derivi dall’isola di Maiorca, caratterizzata da sempre per una rilevante produzione di ceramiche. Anche a Napoli, dalla prima metà del Settecento, nasceranno i cosiddetti “mastri riggiolari”, tra cui spiccano i nomi di Donato e Giuseppe Massa, che operarono all’interno del chiostro per realizzare le illustrazioni delle sedute del porticato e del giardino. I Massa riuscirono ad interpretare ai massimi livelli la cultura del loro tempo attraverso una serie di illustrazioni, che sorprendono ancora oggi per la ricchezza delle immagini e la minuziosità dei dettagli. Tali scene suscitano la curiosità e l’attenzione del visitatore per il loro carattere profano; un aspetto che può apparire in contraddizione se inserito all’interno di un chiostro frequentato da monache di clausura. Al contrario, invece, le immagini richiamavano il mondo reale, vivo e vissuto dalle figure di musici, ballerini di tarantella, pescatori, contadini, da paesaggi agresti e marini, riportando l’idea di cosa dovesse accadere nel mondo esterno. Un contatto stretto con la realtà proibita e misteriosa tagliata fuori dalle mura del monastero.